LA CORTE D'APPELLO
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo penale n. 688/89
 contro Mancuso Calogero nato in Mussomeli il 6 maggio 1948.
    1. - Calogero Mancuso e' stato giudicato per il reato di emissione
 di assegni a vuoto dal pretore di Mussomeli, che lo ha condannato con
 sentenza del 4 maggio 1989.
    Il  giudizio si e' svolto in contumacia dell'imputato, il quale e'
 stato difeso dalla dott.ssa  Vincenza  Caruso,  procuratrice  legale,
 nominata  d'ufficio. Quest'ultima con dichiarazione del 6 maggio 1989
 ha proposto appello e successivamente  ha  depositato  ritualmente  i
 motivi.
    Il  p.g.  presso  questa  corte  ha  chiesto  che  l'appello venga
 dichiarato inammissibile perche' proposto da "difensore  di  imputato
 contumace privo di mandato speciale".
    2.  -  La  richiesta  del  p.g.  si fonda sulla nuova disposizione
 dell'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n.  22,  che  ha  sostituito
 l'ultimo comma dell'art. 192 del c.p.p.
    Analoga  disposizione  contiene l'art. 571, terzo comma, del nuovo
 c.p.p. che entrera' in vigore nel corrente mese.
    Sia  nei  lavori  preparatori  della  legge  n.  22/1989 sia nella
 relazione che accompagna il nuovo codice  (libro  IX  -  impugnazioni
 nella  parte  introduttiva)  sono  esposte  le  ragioni  della  nuova
 disposizione che ne determinano l'interpretazione.
    Nella relazione citata, infatti, si legge: "innovativa e', invece,
 la disciplina che regola la legittimazione del difensore  a  proporre
 impugnazione  avverso  una  sentenza  contumaciale:  si  e' previsto,
 infatti, che in tal caso il difensore deve essere munito di specifico
 mandato,  rilasciato con l'atto di nomina o anche successivamente. La
 ragione  di  essere  di  tale  previsione  risiede  nel   fatto   che
 l'impugnazione  proposta  dal  difensore  esaurisce per l'imputato la
 possibilita' di ottenere, se contumace, la restituzione  in  termini,
 istituto   che  ha  ricevuto  una  disciplina  particolarmente  ampia
 nell'art. 175. Conseguentemente, e' sembrato necessario  limitare  la
 legittimazione  del difensore nel caso di sentenza contumaciale, allo
 scopo di impedire gli effetti preclusivi che  scaturirebbero  da  una
 impugnazione proposta frettolosamente che un difensore, il quale, sia
 esso legato o meno da rapporto fiduciario, e' ben possibile non abbia
 potuto  prendere  contatto  con l'imputato nel breve termine previsto
 per la proposizione del  gravame.  La  previsione  di  uno  specifico
 mandato   consente,   invece,   di  presumere  che  l'imputato  abbia
 effettuato  una   preventiva   valutazione   circa   le   conseguenze
 dell'attivita'  che il difensore puo' compiere nel suo interesse, ivi
 compreso, quindi, l'eventuale effetto preclusivo di cui prima  si  e'
 detto".
    3.  -  La  restituzione  del termine (gia' prevista nel codice del
 1913, ma non piu' in quello del 1931,  reintrodotta  con  la  novella
 della legge 18 giugno 1955, n. 517, e regolata dall'art. 183- bis del
 c.p.p., modificato dall'art. 1 della citata legge n. 22/1989, che  e'
 riprodotto  nell'art.  175 del nuovo codice), pur con gli ampliamenti
 innovativi  ai  quali  fa  cenno  il  brano  della  relazione   sopra
 trascritto (i soggetti legittimati sono ora anche i difensori ed ogni
 dubbio e' caduto per il p.m.; ecc.) ha per presupposti  sempre,  come
 gia' l'art. 183- bis, "quelli oggi previsti dal caso fortuito e della
 forza maggiore", ai quali  "si  aggiunge....  la  mancata  conoscenza
 effettiva  del  provvedimento  da  impugnare  da  parte dell'imputato
 contumace e del condannato con  decreto  penale,  sempre  che  questa
 mancata  conoscenza  non  sia  da attribuire a colpa del soggetto che
 chiede la restituzione" (v. relazione al nuovo c.p.p. libro  secondo,
 titolo sesto, termini).
    E',  quindi,  di assoluta evidenza che la restituzione nel termine
 resta istituto eccezionale i cui presupposti debbono  essere  provati
 con precisione (si ridurrebbe altrimenti a facile elusione di termini
 perentori) applicabile nei rari (pur con i  nuovi  ampliamenti)  casi
 previsti,  come  dimostrano  del  resto le poche applicazioni sia nel
 vigore del codice del 1913,  che  dell'attuale  art.  183-  bis,  sia
 nell'originaria che nella nuova formulazione.
    Di   fronte  alla  possibilita'  della  restituzione  in  termini,
 necessariamente, per quel che si  e'  detto,  di  rara  applicazione,
 resta  una  preclusione  all'impugnazione del difensore non munito di
 specifico mandato,  che  porta  a  piu'  facile  definitivita'  della
 sentenza   da   impugnare,   con   lesione   del  diritto  di  difesa
 dell'imputato. Il danno per quest'ultimo e' evidente.
    L'impugnazione del difensore (sempre rinunciabile in prosieguo; su
 essa prevale  sempre  la  volonta'  contraria  dell'imputato)  tutela
 certamente  l'interesse  dell'imputato in modo pressocche' completo e
 comunque  certo  piu'   ampiamente   e   meglio   della   preclusione
 dell'impugnazione   in  vista  della  sola  e  scarsamente  probabile
 restituzione in termini.
    Il  diritto  di difesa resta, quindi, intaccato per ragioni per le
 quali sono possibili altre  soluzioni  alternative,  che  lo  lascino
 integro  (es.  consentire  la  restituzione  in termini all'imputato,
 nonostante l'impugnazione del difensore, soltanto, evidentemente,  in
 relazioni  a  richiesta  aggiuntive; e cio' sara' molto raro, perche'
 l'impugnazione nell'espletamento della difesa tecnica le comprendera'
 tutte;   la  disposizione  in  esame,  invece,  finira'  con  rendere
 anomalamente applicata la restituzione  in  termini  per  introdurre,
 attraverso  essa,  un'impugnazione dalla quale si e' decaduti, magari
 in applicazione proprio della preclusione in esame). Il caso in esame
 ne e' chiaro esempio.
    4. - Non puo', inoltre, sfuggire che la norma in esame si discosti
 dall'assenza dei rapporti fra imputato e difensore  quali  risultano,
 nel  rispetto  della  Costituzione,  dalla  normativa  vigente  e dal
 sistema:  posizione  del  difensore  autonoma   rispetto   a   quella
 dell'imputato  con  possibilita' che in caso di contrasto prevalga la
 volonta' dell'imputato (per le impugnazioni v. art.  193;  nel  nuovo
 codice  art.  571).  Vi  e', cioe', una presunzione che la difesa sia
 concordata dal difensore e dall'imputato, ma, al  di  la'  di  questa
 intesa,  che  ogni  attivita'  difensiva  sia  sempre  nell'interesse
 dell'imputato anche se svolta autonomamente dal difensore,  salva  la
 possibilita'   della   prevalenza  della  volonta'  dell'imputato  da
 manifestarsi con apposita dichiarazione (art. 193; art.  571,  quarto
 comma, nuovo c.p.p. citati).
    Mentre,  quindi, in ogni caso il difensore agisce autonomamente ed
 e' necessaria  una  espressa  volonta'  contraria  dell'imputato  per
 precludere o togliere efficacia alla sua attivita', nel caso in esame
 si richiede un espresso mandato specifico perche' il difensore  possa
 esercitare  per  il contumace la stessa attivita' consentitagli negli
 altri casi, senza che possa presumersi, nella generalita'  dei  casi,
 una sua volonta' contraria (anzi e' da ritenere una volonta' adesiva,
 trattandosi, per quanto si e' detto, di attivita' a lui  favorevole).
    Anche  quest'aspetto  ribadisce il carattere lesivo del diritto di
 difesa della disposizione in esame.
    5.  -  E'  ancora  opportuno ricordare in materia di impugnazioni,
 anche con riferimento al contumace, quanto segue:
       a)  L'art.  210  c.p.p.  disponeva che "l'impugnazione proposta
 dall'imputato latitante o  evaso  o  dal  suo  difensore  contro  una
 sentenza  di  condanna  a  pena  detentiva  che  debba  essere ancora
 scontata  in  misura  non  inferiore  ad  un   anno   e'   dichiarata
 inammissibile   se   l'imputato  non  si  e'  costituito  in  carcere
 anteriormente al giorno fissato  per  il  giudizio  sull'impugnazione
 medesima".  La  relazione  al progetto definitivo del codice del 1931
 spiegava (pag. 35): "Il  progetto  preliminare  disponeva  che  fosse
 inammissibile   l'impugnazione   del   contumace  condannato  a  pena
 detentiva non inferiore a  sei  mesi,  se  l'imputato  non  si  fosse
 costituito  in  carcere.  Res  melius  perpensa,  mi  pare  opportuno
 attenuare il rigore di questa disposizione, sia perche' non sempre la
 contumacia  dipende  da  mala  volonta', sia perche' il limite di sei
 mesi  puo'  risultare  non  sufficiente  per  giustificare  si  grave
 disconoscimento  di un diritto. Ho percio' modificato la disposizione
 nel senso di restringere l'obbligo della costituzione in  carcere  ai
 latitanti  ed  agli evasi e di elevare il minimo della pena detentiva
 ad un anno".
    La  disposizione  e' stata abrogata con legge 29 dicembre 1948, n.
 1514,  cioe'  appena  entrata  in  vigore  la  Costituzione,  perche'
 rappresentava   lesione  dei  diritti  di  difesa,  di  liberta',  di
 autodeterminazione dell'imputato, oltre che violazione del  principio
 di presunzione di non colpevolezza fino alla pronuncia definitiva;
       b)  la novella del 1955 ha modificato l'art. 151 del c.p.p. nel
 rispetto della Costituzione, aggiungendo  nel  terzo  comma,  per  il
 deposito  in  cancelleria  dei  provvedimenti  del giudice e relativo
 avviso, che l'avviso dell'avvenuto deposito "e' notificato,  inoltre,
 nel  caso  preveduto  nel primo capoverso (provvedimenti in camera di
 consiglio), al difensore dell'imputato e, nel  caso  preveduto  dalla
 prima  parte  (sentenze  pronunciate  in  seguito a dibattimento), al
 difensore che abbia proposto l'impugnazione o a quello che  e'  stato
 designato dall'imputato nella dichiarazione di impugnazione".
    La  Corte  costituzionale con sentenza dell'11 maggio 1971, n. 96,
 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del detto  terzo  comma
 nella  parte  in  cui  esclude  che  l'avviso di deposito di sentenza
 pronunciata  in  seguito  a  dibattimento  sia  notificato  anche  al
 difensore  del dibattimento, che non ha proposto l'impugnazione e che
 non sia stato designato  dall'imputato  a  presentare  i  motivi.  La
 dichiarazione  di illegittimita' e' con riferimento all'art. 24 della
 Costituzione.
    La Corte ha posto in evidenza che "l'illegittimita' costituzionale
 deriva, duncque, da cio': che - nel momento forse piu'  delicato  del
 procedimento  ed  in  una  fase  costitutiva  del  gravame  in cui le
 ottemperanze,   a   pena    di    decadenza    e    di    conseguente
 inammissibilita'...  sono  ristrette  entro  termini assai angusti di
 tempo - l'interessato puo' trovarsi privo di difensore professionale;
 il  che  e'  illogico,  fra  l'altro,  se  si pensa che chi sia stato
 difensore nel giudizio a quo puo' presentare i motivi di gravame".  E
 piu'  oltre  aggiunge  che "devono essere disattese le argomentazioni
 dell'avvocatura dello Stato -  secondo  la  quale  vigilantibus  iura
 succurrunt  - poiche' l'imputato e le altre parti private possono non
 essere in grado di conoscere o comprendere le esigenze essenziali del
 processo  penale  e,  in  particolare  la necessita' della tempestiva
 redazione dei motivi  con  l'eventuale  ausilio  del  difensore".  Ed
 ancora "quel che occorre e' la sicurezza di una difesa subito dopo la
 dichiarazione di gravame, sicurezza che la norma impugnata non  da'".
    Queste  ed  altre  innovazioni  (possibilita'  di dichiarazione di
 impugnazione e di presentazione di  motivi  per  posta  in  qualsiasi
 pretura anziche' solo presso la cancelleria del giudice che ha emesso
 il  provvedimento  impugnato;  ecc.)  dimostrano  come   l'evoluzione
 legislativa (seguita dall'evoluzione giurisprudenziale: presentazione
 di motivi a mezzo di sostituto di commesso di studio, ecc.;  maggiore
 elasticita'  nel  valutare  il  principio  della  tassativita'  delle
 impugnazioni; ecc.), nel quadro  della  Costituzione  che  tutela  il
 diritto  di  difesa qualificato "inviolabile" (art. 24), abbia sempre
 piu'  rimosso  ostacoli  ed  esteso  facolta'  dell'imputato  e   del
 difensore in materia di impugnazioni.
    Orbene,  la  disposizione  in esame si pone in senso nettamente ed
 ingiustificatamente contrario. Essa ha, anzi, il senso del ripristino
 di   preclusioni  del  tipo  gia'  previsto  per  l'impugnazione  del
 latitante o dell'evaso che sono contrarie alla Costituzione  ed  alle
 stesse possibilita' dell'esercizio del diritto di difesa.
    Tutte  le  critiche  della  Corte  costituzionale all'art. 151 del
 c.p.p. sopra riportate possono ripetersi aggravate: qui l'illogicita'
 e'  ancora  piu'  palese  e  piu'  grave perche' si nega al difensore
 tecnico  l'esercizio  del  diritto  di  impugnazione   nell'interesse
 dell'imputato;  qui  la  parte  privata, che per qualsiasi ragione e'
 rimasta contumace,  deve  essere  in  grado  di  conoscere  che,  per
 consentire  al  difensore  di proporre impugnazione, deve conferirgli
 uno specifico mandato (di cui magari, non sa nulla perche' contava di
 essere  presente); qui nel breve tempo di tre giorni l'imputato, che,
 essendo contumace, puo' essere lontano ed impedito deve predisporre e
 far  pervenire  al  difensore  lo  specifico  mandato (si richiama la
 stessa relazione al nuovo codice nel brano riportato).
    6.  -  Quanto  esposto  va  completato con talune osservazioni sul
 diritto di difesa e sulla posizione del difensore che si aggiungono a
 quelle gia' esposte e le chiariscono ulteriormente.
    Nel  processo  penale  il  diritto alla difesa, costituzionalmente
 garantito,  come  si  e'  detto,  si  attua  sia  con   le   facolta'
 riconosciute  all'imputato  (cosiddetta  difesa  materiale)  sia  con
 l'attivita' del difensore (cosiddetta difesa formale o tecnica).
    Il  diritto  alla difesa e' un diritto soggettivo pubblico, che la
 Costituzione qualifica "inviolabile" e conformemente da tempo (e cio'
 dimostra come la sua natura ed i suoi caratteri siano radicati) trova
 tutula nella nullita' assoluta (art. 185, n. 3, del c.p.p.; nel nuovo
 codice  art.  178);  e l'istituto del difensore ha carattere pubblico
 con aspetti di obbligatorieta' e di necessita'; il tutto e'  ribadito
 costituzionalmente  (art.  24,  terzo  comma)  dalla prescirizione di
 assicurare la difesa ai non abbienti.
    Ogni  imputato  deve  necessariamente  ed obbligatoriamente essere
 difeso  da  un  difensore  ed  e'  stata  esclusa   la   possibilita'
 dell'autodifesa  (si  ricordano  le sollecitazioni in tal senso degli
 anni '70) anche se l'imputato eserciti personalmente  la  professione
 forense e sia, quindi, un tecnico.
    L'attivita' difensiva si estrinseca sotto due aspetti: la funzione
 di assistenza e quella di  rappresentanza  (intesa  quest'ultima  nel
 senso proprio della difesa nel processo penale, su cui non e' il caso
 di indugiare).
    Proprio  per  l'imputato contumace, mancando la possibilita' della
 difesa materiale, il compito del difensore  si  estende  maggiormente
 nella  rappresentanza dell'imputato secondo l'art. 499, ultimo comma,
 del c.p.p.  ("il  difensore  rappresenta  l'imputato  per  tutti  gli
 effetti"  (analogamente  nel  nuovo  codice, art. 487, secondo comma,
 anche se non vi e' piu' il riferimento a "tutti gli effetti").
    Non  puo'  sfuggire  per  completezza  e  perche' e' indicatore di
 ulteriore evoluzione, il fatto che nel nuovo codice  le  disposizioni
 sul  difensore  sono  raggruppate  in apposito titolo (il settimo del
 libro primo) considerandolo come un soggetto a  se'  stante  rispetto
 agli   altri   del   processo   e   soprattutto   in   riconoscimento
 dell'autonomia della sua attivita'. Si esige ancora la "effettivita'"
 della  difesa  tecnica,  che, peraltro, e' necessaria per i caratteri
 essenziali del nuovo processo.
    La  preclusione  della  norma  in esame e' in contrasto con i dati
 caratteristici  del  sistema  ora  esposti  e  della  stessa   delega
 legislativa.
    7.  -  Essa,  inoltre,  finisce  con  creare situazioni giuridiche
 ingiustificatamente  differenziate  fra  imputato   presente   o   da
 considerare  presente  ed  imputato  contumace perche' la preclusione
 eccezionale e' innovativamente prevista solo per quest'ultimo.
    Ne'  puo'  dirsi  che alla base della differente disciplina vi sia
 una differenza di situazioni, per piu' ragioni.
    Anzitutto,  nella  realta',  specie nei processi di lunga durata o
 che comunque si  svolgono  in  lungo  arco  di  tempo,  la  posizione
 dell'imputato  assente,  non  contumace (o per rinuncia, art. 497 del
 c.p.p., nuovo codice art. 488; o per essersi  allontanato  od  essere
 evaso  dopo  essere  comparso,  art. 427 per il detenuto e 428 per il
 libero, nuovo codice art. 488;  o  per  rappresentanza  convenzionale
 dell'imputato  da parte del difensore prevista dall'art. 125, secondo
 comma, del c.p.p.) e' molto simile a quella del contumace.
    Peraltro,   durante  l'assenza  l'imputato  e'  rappresentato  dal
 difensore (artt. 427, 428, nel nuovo codice 488) come il contumace.
    Poi,  la  differenza  fra  l'imputato  presente o assente e quello
 contumace e' in senso  diametralmente  opposto  a  quello  risultante
 dalla   norma   in  esame  (e  le  possibilita'  di  avvalersi  della
 restituzione nel termine susstistono  anche  per  il  non  contumace,
 specie per l'assente).
    Infatti,  gia' nel codice del 1931 e da recente la citata legge n.
 22/1989, e cosi' il nuovo codice, contengono disposizioni che tendono
 ad evitare che il dibattimento celebrato in contumacia possa menomare
 i diritti dell'imputato; per l'art.  501  del  c.p.p.  il  contumace,
 comparendo  prima  della discussione, deve essere informato di quanto
 avvenuto in sua assenza e deve essere interrogato; per l'art. 500  ha
 diritto   alla   notifica   dell'estratto   della  sentenza  ai  fini
 dell'impugnazione; ha ora il diritto  di  rendere  dichiarazioni  nel
 momento  in  cui  compare, anche se e' in corso la discussione, e, in
 determinati casi, puo' ottenere la rinnovazione del  dibattimento  in
 appello  (art.  603  nuovo  codice)  e di rendere dichiarazioni anche
 durante il giudizio in cassazione (art. 489 nuovo codice).
    La  disposizione  che  preclude  l'appello  del difensore, che non
 abbia specificato mandato, contrasta con i diritti e le facolta'  che
 sono  riconosciuti  al  contumace,  rispetto all'imputato presente od
 assente.
    Si tratta di disparita' di trattamento, che, come e' noto, ricorre
 non solo quando situazioni eguali hanno trattamento diverso e  quando
 situazioni   diverse   hanno   trattamento   eguale,   ma  anche,  ed
 evidentemente ancor piu', quando situazioni diverse hanno trattamenti
 diversi  in  senso  opposto  alle  differenze  che le caratterizzano,
 com'e' per i casi del tipo in esame.
    8.  -  Non puo', infine, sfuggire che la preclusione in esame crea
 una situazione di disparita'  fra  difesa  di  fiducia  e  difesa  di
 ufficio (che ricorre nella fattispecie concreta in esame).
    Nella nomina del difesore di fiducia l'imputato (ma secondo l'art.
 96, terzo comma, del nuovo codice la  nomina  puo'  compiersi  da  un
 prossimo  congiunto in caso di detenzione) puo' inserire lo specifico
 mandato ad impugnare prescritto dall'art. 2 della legge n. 22/1989 (e
 dall'art. 571 nuovo codice) per rimuovere la preclusione in esame.
    Nella nomina del difesore di ufficio l'organo pubblico che procede
 alla nomina secondo l'art. 128 (art. 97  del  nuovo  codice)  non  ha
 potere alcuno di conferire lo specifico mandato ad impugnare e, tanto
 meno, lo ha lo stesso o altro organo pubblico,  successivamente  alla
 nomina,  in  caso di contumacia dell'imputato. L'impossibilita' e' in
 re ipsa perche' rappresenterebbe un'ingerenza esterna  nell'esercizio
 del  diritto  di  difesa  dell'imputato  da  parte  di  soggetti  con
 interesse diverso (si ricordano, fra l'altro,  le  contestazioni  del
 potere  del  pubblico  ministero  di nominare il difensore di ufficio
 dell'imputato, per la sua qualita' di parte contrapposta).
    D'altra parte il conferimento dello specifico mandato ad impugnare
 al difensore di ufficio si  risolve  in  un  incarico  fiduciario  e,
 quindi, in una nomina a difensore di fiducia.
    Ma,  a parte cio', e pur ammettendo che l'imputato possa conferire
 mandati specifici al difensore d'ufficio, non puo' non tenersi  conto
 che il difensore di ufficio puo' essere nominato lo stesso giorno del
 dibattimento e della pronuncia della  sentenza  (come  nella  realta'
 normalmente  avviene)  e,  quindi,  resta  sconosciuto  dall'imputato
 contumace (ed e' impossibile un mandato ad incertam  personam).  Sono
 difficolta' che emergono dalla stessa relazione al nuovo codice sopra
 riportata.
    L'imputato  in  tre  giorni  deve formulare il mandato specifico e
 farlo pervenire, nel rispetto delle forme, al difensore (che,  se  di
 ufficio,  deve  prima identificare e rintracciare), con una attivita'
 di  maggiore  consistenza   di   quella   necessaria   per   proporre
 direttamente  il  gravame.  La norma in esame crea, quindi, una reale
 soppressione della facolta' di impugnazione del difensore, specie  di
 ufficio  per il contumace. Ma crea anche un'altra reale disparita' di
 trattamento secondo che il difensore del contumace sia di  fiducia  o
 di ufficio.
    9.  -  Cio'  e'  anche  in  pieno  contrasto  col  principio della
 "effettivita'" della difesa, che il nuovo codice  afferma  e  che  il
 legislatore  delegante  impone,  per cui nel codice la norma in esame
 non e' conforme alla delega.
    10.  -  La  questione  di  legittimita' dell'art. 2 della legge n.
 22/1989 (e dell'art. 571 del nuovo c.p.p.) in  relazione  all'art.  3
 (principio  di  eguaglianza)  ed  all'art. 24 (diritto inviolabile di
 difesa)  appare,  quindi,  fondata.  Dalla  sua  soluzione   discende
 l'ammissibilita'  originaria o no dell'appello proposto dal difensore
 del Mancuso, contumace, nel caso in esame e, quindi, la  possibilita'
 o  no del riesame della sentenza di primo grado; da cio' la rilevanza
 della questione di costituzionalita' sopra esposta.